Alcune riflessioni pedagogiche

La prima fase esplorativa con bambine, bambini, insegnanti e genitori durante la primavera 2019 ci ha consentito di  focalizzare meglio le domande che il progetto Fairy Tales ci poneva, tra cui in particolare:

1. E' possibile formulare un'ipotesi di educazione alla parità e al riconoscimento degli stereotipi di  genere con persone nella fascia di età compresa tra 5 e7 anni, attraverso la lettura critica delle fiabe della tradizione europea?
2. Quali punti di riferimento teorici e strumenti pedagogici occorrono per pensare una proposta   comprensibile, efficace e non invasiva?
3. Quale aspetto privilegiare tra il lavoro di sensibilizzazione e messa in guardia  rispetto ai problemi della disparità sociale fra i generi e la ricerca e la valorizzazione di quei comportamenti autonomi, paritari, solidali e rispettosi (da parte di personaggi maschili e femminili e  nelle loro relazioni) che abbiamo scoperto nelle versioni originali delle fiabe, prefigurando possibili nuovi modi di relazione fra bambine e bambini?

Durante la prima fase di lavoro, poi, abbiamo identificato alcuni rischi possibili, soprattutto in relazione all’ovvia generalità dell’impianto progettuale, alla giovane età dei bambini e delle bambine con cui ci confrontavamo e  alle diverse situazioni nazionali di contesto dei tre partner europei coinvolti nel progetto1, così come la disomogenea composizione sociale e geografica delle classi coinvolte nelle attività (che possono tuttavia riflettere la situazione presente in Italia).

Un primo rischio identificato era legato al tempo: il progetto per sua natura imponeva tempi di lavoro brevi e serrati ma, come noto, i bambini hanno bisogno di tempi più lunghi e, soprattutto, tempi che possono variare molto da persona a persona, diversi da bambino a bambino, per rendersi partecipi e comprendere le  comunicazioni provenienti dal mondo adulto, soprattutto quelle di natura teorica e astratta. Il rischio era di dialogare solo con alcuni bambini non riuscendo ad arrivare a tutti.

Il secondo rischio era quello di non coinvolgere e valorizzare a sufficienza gli adulti di riferimento, soprattutto gli insegnanti, unici soggetti in grado di proseguire in classe nel medio-lungo periodo il lavoro abbozzato nell’ambito dei laboratori. Si propone a questo proposito per future esperienze di anteporre la formazione degli adulti ai laboratori esperienziali

L’incognita maggiore era legata alla difficoltà di trovare il linguaggio e i modi adatti a trasmettere a un pubblico di questa fascia di età la  cornice ricca e articolata che si era andata costruendo (oltre alle questioni specifiche relative al genere, il quadro  generale dei diritti umani, gli indicatori EIGE...) e di proporre ed imporre ai bambini punti di vista, giudizi e concetti adulti, calati dall’alto e non costruiti   insieme a loro, senza tener conto e senza rispettare l’età precoce, le differenze familiari, sociali, religiose e culturali.

Per questi motivi e facendo riferimento al pensiero e alla ricerca pedagogica italiana che hanno ispirato nel tempo le pratiche più innovative2 si è scelto di impostare i laboratori esperienziali secondo alcuni punti  chiave:

Per quanto riguarda  bambine e bambini:

Privilegiare il loro punto di vista, partendo dal presupposto, condiviso con loro a parole e nei fatti, che le  persone sono tutte uguali, con caratteristiche e capacità diverse, ma tutte uniche e preziose, degne di essere viste, ascoltate, considerate senza mai essere offese, zittite, ignorate, giudicate. Per rendere questo vero, le persone adulte, che guidano la situazione, devono sempre osservare il gruppo, ascoltarlo e dare la  parola e la visibilità tutte le volte che è necessario, valorizzando la condivisione delle idee, anche diverse, senza dare  giudizi definitivi e dando a ciascuno il tempo per modificare e maturare pensieri  propri.

Un altro aspetto importante è stato da noi individuato nella presa in carico del corpo-mente: le bambine e i bambini, così come le persone adulte, vivono, capiscono, sentono, imparano attraverso il proprio corpo e le percezioni ad esso connesse. Molto spesso però, durante queste attività, è alla mente che ci si rivolge mentre il corpo ne risulta sacrificato e ignorato. Nei laboratori, si è cercato di porre la massima attenzione agli spazi, alla luce, alle musiche, agli oggetti, ai materiali, alle posture, ai giochi e all'alternarsi di quiete e movimento, proponendo, senza dirlo con le parole, una dimensione ludica e non giudicante che i bambine e bambini sanno riconoscere immediatamente e abitare naturalmente, in una condizione indispensabile di benessere capace di tenere insieme la dimensione fisico corporea e quella intellettiva.

La narrazione e il gioco simbolico, a questa età, sono gli strumenti più immediati per "dire" i pensieri, rendendoli vivi e sperimentandoli con il corpo e l'emotività nel "facciamo finta che eravamo...". Le immagini e le attività grafiche sono il linguaggio più potente, a questa età, per fissare l’esperienza nella memoria.

Per quanto riguarda le fiabe:

Uno dei rischi era quello di lavorare sulle fiabe della tradizione, senza considerare quali fiabe le bambine e i bambini di  oggi conoscono, in quali versioni e forme vengono loro proposte e soprattutto quali sono le fiabe del presente che fanno parte del loro mondo fantastico. Questo, a nostro avviso poteva portarci a sostituire acriticamente nuovi stereotipi ai vecchi stereotipi. Si vedano ad esempio alcune versioni disneyane recenti di fiabe tradizionali, realizzate più per soddisfare la sensibilità mainstream che per valorizzare davvero la crescita di rapporti paritari e amichevoli fra i generi, nel reciproco rispetto dove si passa da principesse fragili e impotenti e principi dai baci risolutivi ad eroine bisbetiche, ciniche e sempre allerta e maschi rozzi, buffi e inconcludenti. Film che comunque alcuni degli acutissimi bambini che hanno partecipato alle attività del progetto, avevano rifiutato come "film per femmine che andavano bene solo per le ragazze".

Un altro pericolo cui prestare attenzione  era la tentazione di gettar via con troppa facilità, senza conoscere né studiare né  utilizzare le "vecchie" fiabe e leggende della nostra tradizione, che di fatto rappresentano le basi culturali  sui cui poggiano tutte le narrazioni successive e odierne.

Così, una volta deciso insieme alla squadra di progetto di lavorare sulle versioni originali dei Fratelli Grimm  e di Perrault, abbiamo preferito immergerci nei testi senza preconcetti, con orecchie “innocenti” e abbiamo  scoperto assieme ai bambini e alle bambine, accanto alle violenze, le ingiustizie, gli abbandoni, anche tesori  di intelligenza, generosità, onestà, coraggio e resilienza da parte delle giovani protagoniste, ma spesso  anche dei personaggi maschili.

E non c'è da stupirsi se, come ci hanno ben spiegato Propp, Calvino, Bettelhaim, Zipes,  ecc., le fiabe costituiscono un immenso patrimonio umano di saggezza orale, popolare e colta, un enorme archivio di casi umani in  cui ritrovarsi, strumenti per valorizzare, consolare e sostenere le persone più fragili, ragazze, bambini, "diversi" e poveri, alle prese con le difficoltà della vita, oltre a contenere messaggi continui di messa in  guardia da comportamenti giudicati indegni e pericolosi: insomma, una summa dei destini umani

Ci è sembrato che questa riflessione potesse portare un importante contributo al progetto. Si è deciso quindi di sviluppare una struttura di lavoro parallela rispetto a quanto proposto dai partner, pur mantenendo gli stessi obiettivi e finalità, concentrando il lavoro sugli aspetti positivi delle fiabe e, in particolare, oltre a rafforzare nelle bambine e nei bambini la capacità di riconoscere e rifiutare gli stereotipi di genere, stimolare la capacità di  leggere gli eventi delle narrazioni senza preconcetti ideologici, ma con attenzione alle possibili motivazioni  e ai risultati dei singoli comportamenti per poi discuterne insieme.

Riteniamo di avere risposto così agli scopi del progetto, in particolare a  quelli tesi a favorire la creazione già  in età molto  precoce di situazioni di convivenza e interazione amichevole e rispettosa fra diversi (per genere, età, caratteristiche fisiche, provenienze geografiche, differenti abilità e disabilità, condizioni sociali...), invitando e sostenendo le insegnanti a pensare e praticare nella quotidianità della vita  scolastica, accanto ad una crescita di conoscenza e difesa dei propri e altrui diritti, una sorta di permanente educazione ai sentimenti.

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1. I partner europei del progetto, oltre a Defence for Children italia, sono l’associazione bulgara Naia e il centro Women’s Center di Karditsa in Grecia.
2. Ci riferiamo in particolare a una pedagogia interculturale, non autoritaria, in ascolto più che in "riempimento"  dei bambini o delle bambine. Si vedano le proposte bibliografiche.

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