L’adattamento del progetto in Italia

Impianto teorico di riferimento

Nell’affrontare tematiche così complesse e delicate, come già accennato, non pochi sono stati gli interrogativi che si sono posti al gruppo di lavoro che ha promosso l’iniziativa. La scelta è stata quella di non semplificare ma, al contrario, come in una fiaba, di entrare nella “foresta” di questioni che il progetto si proponeva di affrontare. In questa prospettiva è stato d’aiuto e di ispirazione il modo attraverso il quale Italo Calvino descrive la natura delle narrazioni popolari:

“..le fiabe sono vere. Sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che appunto è il farsi d’un destino: la giovinezza, dalla nascita che sovente porta in sé un auspicio o una condanna, al distacco dalla casa, alle prove per diventare adulto e poi maturo, per confermarsi come essere umano. E in questo sommario disegno, tutto: la drastica divisione dei viventi in re e poveri, ma la loro parità sostanziale; la persecuzione dell’innocente e il suo riscatto come termini d’una dialettica interna ad ogni vita; l’amore incontrato prima di conoscerlo e poi subito sofferto come bene perduto; la comune sorte di soggiacere a incantesimi, cioè di essere determinato da forze complesse e sconosciute, e lo sforzo per liberarsi e autodeterminarsi inteso come un dovere elementare, insieme a quello di liberare gli altri, anzi il non potersi liberare da soli, il liberarsi liberando; la fedeltà a un impegno e la purezza di cuore come virtù basilari che portano alla salvezza e al trionfo; la bellezza come segno di grazia, ma che può essere nascosta sotto spoglie d’umile bruttezza come un corpo di rana; e soprattutto la sostanza unitaria del tutto, uomini bestie piante cose, l’infinita possibilità di metamorfosi di ciò che esiste” 1.

Le fiabe intese dunque non come rappresentazione semplificata della realtà ma come coinvolgente punto di convergenza metaforica tra simboli, diversità, aspettative sociali, biografie e destini di tutti gli esseri umani. Questo stimolo ha aiutato a considerare le molteplici dimensioni della narrazione come contesto ideale per accogliere una riflessione di carattere pedagogico e tradurla in un’azione che potesse assumere un senso, non solo per i bambini e le bambine coinvolte ma anche per le persone adulte comprese quelle che in prima persona hanno condotto il progetto. Allo stesso tempo, la scelta della complessità è apparsa come l’unica possibile per dotare di ricchezza e significato un percorso educativo utile a proporre temi fondamentali come quelli affrontati senza banalizzare questioni ancora largamente irrisolte nel mondo degli adulti.

La necessità di definire e tradurre concetti e metterli in relazione per poi condividerli con persone di età compresa tra i  5 e i 7 anni si è quindi posta come straordinaria opportunità per rileggere questioni importanti troppo spesso considerate come scontate anche dalle più avanzate prospettive critiche sugli argomenti trattati. L’attenzione alle diversità, la discriminazione, gli stereotipi e poi l’utilizzo della metafora a suggerire le svariate possibilità interpretative oltre rigidi codici disciplinari si sono dunque poste come dimensioni che richiedevano di essere osservate ed esplorate “nuovamente”, per poter condividere con bambini, bambine, insegnanti e genitori possibili e significative prospettive altre rispetto a quelle consuete.

Forse suggestionati dalla portata fantastica evocata dalle fiabe, il lavoro si è progressivamente configurato come una sorta di mappa tesa a tracciare un possibile contesto di riferimento che potesse rendersi utile nell’orientare l’interazione con i bambini e le bambine, affiancando  anche il rapporto informativo e formativo con i loro principali adulti di riferimento.

Consapevoli del limite strutturale imposto dai tempi e dalle modalità di realizzazione del progetto così come dalle infinite possibilità di approfondimento multidisciplinare su tutti gli argomenti trattati, l’iniziativa ha generato dunque una possibile mappa per orientare le diverse attività previste dall’iniziativa. Come ogni mappa è sempre diversa dal territorio che vorrebbe rappresentare2, l’ambizione non è stata quella di esaurire gli argomenti trattati o definire un modello univoco  bensì quella di fornire una possibile traccia per suggerire percorsi che potranno via via essere modificati e migliorati attraverso l’esperienza e lo sguardo di chiunque si appresti ad affrontare i sentieri, i problemi e le sfide proposti dagli argomenti trattati nell’intento di tradurli in prassi pedagogica.

Intento e azione educativa

Le questioni trattate sono strutturalmente legate a una coinvolgente intenzione educativa e auto-educativa delle bambine e dei bambini così come degli adulti

La necessità di configurare un percorso formativo sugli argomenti trattati non ha semplicemente rappresentato il risvolto strumentale di un’iniziativa votata a proporre ai bambini e alle bambine in termini didattici questioni già esplorate e definite.

Nel corso del lavoro di analisi ed elaborazione infatti si è reso sempre più evidente come le questioni affrontate dovessero essere lette attraverso una lente di carattere pedagogico capace di rilevare una serie di problemi che ci riguardano direttamente, evocando con urgenza un’elaborazione e un’efficace azione educativa e formativa.

Come sarebbe stato possibile, senza ricorrere a narrative fittizie (non fiabe), proporre a un pubblico di questa fascia di età criteri su cosa è giusto e cosa è sbagliato, in merito alle questioni legate alla discriminazione di genere, senza la constatazione che nella realtà contemporanea gli intendimenti dichiarati dagli adulti sulle tematiche trattate sono assolutamente divergenti dalla realtà dei fatti reali? Una realtà di diseguaglianza che coinvolge strutturalmente tutte le dimensioni del vivere sociale, dell’economia, della nostra storia e con esse le nostre personali storie di vita. Questa semplice constatazione ha condotto a pensare al lavoro come possibilità per ribadire la vocazione ontologica dell’intenzione pedagogica che andava adottata, al di là del nostro breve progetto, nell’affrontare queste tematiche.

In questo senso possiamo dire che affrontare le diversità e la discriminazione di genere ha costituito una sfida non solo nel realizzare un percorso utile ai bambini e alle bambine ma, semmai, nel ribadire un processo pedagogico capace di proporre un sostanziale coinvolgimento civile, culturale ed etico rivolto a tutti gli adulti che si pongono di fronte a questi temi e alle problematiche che ne derivano, dalle pari opportunità alla violenza di genere.

Se da un lato dunque vogliamo intendere la pedagogia come la disciplina relativa alle istanze educative, consideriamo altresì che le tematiche in questione costituiscono il cuore del problema educativo, sottolineando come senza questo cruciale riconoscimento venga a mancare il motivo stesso per proporre ai bambini attività di tale natura.

La scelta è stata dunque quella di concepire l’azione realizzata come la condivisione con i bambini e le bambine di una serie di problemi che riguarda tutti e dunque un’esplorazione congiunta di possibili percorsi per leggerla e interagire con essa evitando risposte precostituite.

Questa stessa condivisione da predisporre in termini semplici, sensibili, graduali e rispettosi della diversità (considerando variabili di fascia di età e contesto di provenienza), costituisce la dimensione centrale del progetto che assume valori di inclusività e di problematizzazione degli stereotipi sia di genere che relativi all’asimmetrico rapporto tra mondo dell’infanzia e mondo adulto. In generale, l’approccio ha inteso evitare di riprodurre la cronica ipocrisia e la strumentalità che spesso caratterizza il rapporto tra questi due mondi.

Considerati i suddetti elementi possiamo affermare che l’intenzione e l’azione educativa in rapporto ai temi trattati risultino essere consustanziali. Nelle sezioni a seguire verranno illustrate le modalità attraverso le quali il progetto ha tradotto gli orientamenti descritti in specifiche modalità operative.

Fiabe e narrazioni

La narrazione di sé incontra le narrazioni tradizionali per interpretare il mondo tra storia individuale e storia collettiva.

Abbiamo già menzionato come la proposta “olistica” di Calvino ci abbia sollecitato a considerare le fiabe in modo aperto e propositivo rispetto alle tante possibili suggestioni che da esse possono derivare. Se è vero che nelle fiabe è possibile riconoscere elementi di discriminazione di genere e di altro tipo è altrettanto vero che in esse possano essere colte occasioni di riflessione di svariata natura utili a sollecitare una considerazione sul superamento degli stessi e sulle pari opportunità e l’inclusione.

In questa prospettiva, e certamente nella consapevolezza delle molteplici teorie che analizzano proficuamente diversi aspetti della narrazione popolare, il progetto ha preferito cogliere nelle fiabe l’opportunità di parlare con i bambini e le bambine di temi fondamentali che predisponessero ad avvicinarsi gradualmente e sensibilmente a comprendere diverse variabili attinenti agli obiettivi del progetto, senza rinunciare alla dimensione fantastica e magica propria di molte narrazioni.

E’ certamente vero che le fiabe predispongono la possibilità di parlare con bambine e bambini di situazioni e casi che non sarebbero affrontabili in forma diretta (si pensi ad esempio all’abbandono da parte dei genitori, alla violenza famigliare, all’imposizione del matrimonio, al potere adulto fino ad arrivare alla violenza e al femminicidio). E’ questo stesso tipo di caratteristica che consente una relazione dei bambini con la fiaba che lascia ampi spazi per poter esercitare una propria implicita o esplicita narrazione consentendo una libertà significativa del confronto dialettico e filosofico anche con gli adulti. La dimensione metaforica aiuta a determinare spazi terzi per l’interpretazione, il riconoscimento, l’identificazione o il distanziamento che, se gestiti con sensibilità e attenzione alla pluridimensionalità dei processi di apprendimento, possono determinare significativi contesti educativi.

Nelle articolazioni del progetto se ne è realizzata esperienza diretta attraverso drammatizzazioni e disegno, nel vestire i panni dell’altro o dell’altra, aiutati dalla sollecitazione fantastica determinata dal racconto, modificando in modo naturale anche gli elementi e gli esiti proposti dal testo originale.

E’ stato dunque assunto come elemento metodologico importante non tanto processare una fiaba per raccontarne un’altra, quanto piuttosto per aprire delicatamente le maglie della fiaba affinché potessero derivare nuove possibilità e nuove narrazioni.

Per mantenere viva questa possibilità l’attività ha predisposto un racconto fantastico che racchiudesse metaforicamente i temi di base che si volevano condividere con i bambini e le bambine nell’esplorare le diverse fiabe della tradizione. Questa scelta è conseguita dal tentativo di non opporre al mondo della fiaba una logica “realistica” per interpretarla o codificarla ma di costruire un’ulteriore metafora che consentisse loro di permanere nel luogo suggestivo e stimolante della narrazione senza imporre messaggi precostituiti nel rapporto dialogico che si andava a sviluppare nel corso delle sessioni.

Se nell’ambito del progetto la metodologia ha deciso di utilizzare le fiabe classiche della tradizione nella loro forma originale, molto spesso radicalmente diversa dalla versione conosciuta dai bambini nelle loro traduzioni filmiche e televisive, la considerazione è stata quella di fornire un approccio che può essere utilizzato per interagire con i bambini anche su altri tipi di narrazione. Pur non avendo sperimentato direttamente la metodologia utilizzata, che sarà ampiamente descritta nelle sezioni successive, la stessa è stata predisposta in modo tale da poter essere utilizzata anche per altri tipi di narrazione.

Piccola biografia della fiaba

All'inizio, fratelli maggiori delle fiabe devono essere  stati i miti:  le grandi invenzioni  collettive  che  servivano  a  dare  senso e ordine  alle  cose  terribili  e  incomprensibili  che accadevano  attorno  agli  essere umani nel  mondo. E poi i riti di  passaggio: le soglie obbligate attraverso cui diventare compiutamente  uomini  e  donne, guerrieri  o  cacciatori. E i rituali  per propiziare  caccia  e  raccolti, per  favorire buone  nascite e  guarigioni.

Fin dall'inizio  gli  esseri umani sembrano  cercare un dialogo stretto con il  mistero, con quell' altro mondo lontano, agganciando la loro condizione di paura, dolore,  morte e  fame  ad interlocutori  invisibili, potenti, buoni e cattivi, misteriosi, ma  in   grado in qualche modo di ascoltare e  di aiutare.  Alle forze della  natura,  ad altri  esseri  viventi, alle  rocce,  al  mare,   al  fulmine,  agli astri...

Le storie che nel  tempo la  gente  semplice  continua  a  raccontare  a  voce, ad  ascoltare,  a tramandare, contengono  tracce  di  quel  dialogo: fra il  qui e  il  possibile immaginato. In tutto  il  mondo, in  tutti i tempi, là dove  gruppi  di  persone   si riuniscono  - la  notte  forse  o nei  momenti  di inattività  forzata -  qualcuno inizia  a raccontare quello che  a  sua volta ha sentito raccontare  e che ricorda:  gli altri ascoltano e  "vedono" quello  che  non  c'è, ma che potrebbe esserci.

Serve ad insegnare,  a tramandare  informazioni  e conoscenze, ad intimidire,  a  mettere in guardia,  a  consolare... (Levi-Strauss)

E' un  bisogno  profondo. Dai  ghiacci  della  Groenlandia  alle  foreste  tropicali,  ai  deserti,  alle  montagne. E i luoghi diversi generano  storie  diverse, intrise del  clima, del paesaggio, delle  condizioni materiali  e  organizzazioni  sociali, ma  tutte  in  fondo  parlano delle  stesse  cose  che  riguardano gli  esseri  umani e  dei  loro  bisogni  e desideri:  nascere,  avere paura,  aver fame,  cercare  riparo,   esplorare  il  mondo,  accoppiarsi, invecchiare,  morire... subire   ingiustizia,   essere  disprezzati,  vincere, essere abbandonati, cercare aiuto, aiutare. Veder trionfare il bene sul  male,  alla  fine,  dopo  tante  peripezie.  Perché, ad un certo punto  della storia  umana, le  narrazioni  non servono più  a dialogare  con  le forze misteriose e lontane che  governano  i  destini  umani,  servono  piuttosto  a  soddisfare  l'insopprimibile  e  universale bisogno-piacere  di ascoltare  storie,  vere  o  inventate, di  raccontarle,  di  ascoltarle  ancora.  I protagonisti, le protagoniste   di queste storie  somigliano a ciascuno  di  noi e  le loro  vicende  ricalcano  le  vicende che  ci  addolorano  o  ci  fanno  paura,  o  quelle  che  vorremmo  poter vivere. Se la  storia  finisce  bene,  grazie  ai  più  impensabili  interventi magici  ed  aiuti, allora  le  fiabe  diventano  un  conforto,  un invito  a  sperare,  ad immaginare  che  le  cose  possono  sempre  cambiare  se  siamo  puri e bravi, furbi, generosi,  audaci,  pietosi,  fortunati...

Nascendo in  una cultura largamente  e  lungamente  patriarcale, non stupisce che le fiabe  trasmettano  precise gerarchie di valore, rispetto a maschi e femmine, ricchi e poveri, adulti  e  giovani. Ma, attenzione, le stesse fiabe contrappongono esseri fragili,  fanciulle   e fanciulli alla soglia dell'età adulta e in difficoltà, poveri orfani, principesse  cadute  in disgrazia  e perseguitate,  esseri umani  troppo  piccoli  o  segnati  dalla  diversità, ad adulti potenti, distratti e  spesso cattivi. 

E sempre, alla  fine delle storie, i "piccoli" o le "piccole" vengono finalmente riconosciuti  nel  loro valore, diventando grandi  e trionfando  attraverso  l'azione  di  una  fata,  di  un  animale  magico,  di un  fratello  o  sorella, di  un  principe o  di una  principessa...

Ed è facile immaginare  che nel  tempo  fossero  soprattutto  le  donne  anziane  a  svolgere questo ruolo di  memoria  collettiva  e  di narratrici orali.  Perché narrare non  è  ripetere:  è un'arte difficile, da sempre riconosciuta (si  pensi  a  Shahrazad).  Ci vuole esperienza di vita, memoria, sguardo aperto sul mondo, un patrimonio di  parole,  capacità  visionaria, empatia  con  chi  ascolta e  la  capacità di godere ogni  volta del  proprio  racconto.

Ogni narratore/narratrice pur attenendosi alla tradizione e alla versione che   conosceva perché   l'aveva   ascoltata tante e  tante volte,  non  poteva fare  a meno  di  lasciare  la  sua  impronta personale:  di  calcare  cioè su  quegli  aspetti  che  più   stavano  a  cuore  e di  tralasciare o  sfumare le  cose  che  interessavano  di  meno o  che  facevano paura  e  imbarazzo. Ogni narratore tira  la  fiaba  dalla  sua  parte,  anche  in  buona  fede e  la intride  della  propria  poetica  e  della propria  visione del  mondo.

Ogni versione della  stessa  fiaba  rispecchia inevitabilmente le  persone che  l'hanno raccontata  e  il loro  mondo intorno.

Questo è  un aspetto molto  importante. 

Infatti, senza  giudizi  o  condanne,  possiamo  leggere  (e insegnare  ai  bambini  a leggere) le  varianti,  le censure,  gli  insegnamenti  moralistici, gli stereotipi di  genere, come  segni significativi:  specchio   dei  tempi, dei  gruppi  sociali,  delle  culture  attraverso  cui  le  fiabe sono  passate,  trasformandosi e continuando  a  trasformarsi. 

Darci strumenti per contestualizzare le diverse narrazioni, lasciando  però ai  bambini  (e  agli  adulti)  tutto il  tempo  necessario per  "caderci" dentro, nelle storie,  per  poter vivere  le vicende  assieme ai  personaggi, immedesimandosi in  loro:  questa è  la  grande  scuola  di  empatia e apertura  mentale  che narrazioni  e  letteratura offrono agli umani.

In  Europa, dalla  metà  del  '600, nelle corti e nei  salotti delle classi  agiate   nasce  (rinasce)  la moda del raccontare e ascoltare  storie  nate nel popolo (niente   di  nuovo, se si pensa a Boccaccio che si ispira a temi  popolari  per scrivere il suo  originalissimo e  coltissimo Decamerone). Le storie  vengono  ascoltate e raccolte  nelle versioni popolari e  orali, ma poi scritte,  reiventate e adattate di volta in volta allo spirito dei tempi, all'auditorio  diversamente colto, a situazioni mondane e  leggere, oppure familiari  ed educative (Basile, Perrault,  Madame d'Aulnoy, ecc.). Le fiabe servono ancora  a  divertire e svagare gli  uditori, ma di volta  in  volta si  piegano a fini diversi (dalla provocazione erotica e cortigiana all'intenzione pedagogica,  morale  o  addirittura  religiosa).

I fratelli Grimm  che a metà dell'ottocento  in  Germania  raccolgono,  confrontano,  trascrivono  e riscrivono   il  grande  corpus  delle  fiabe  orali  giunto  fino a loro, hanno  un obiettivo  politico:   riaffermare  il  valore  della  tradizione popolare  germanica  come  identità  fondativa,  contro  il classicismo  imperante  nella  cultura  europea  del  tempo  (Napoleone). Nelle loro trascrizioni  non vi  è  una   morale  esplicita  come  in  quelle  di  Perrault,   bastano  i  fatti: chi è stato maltrattato perché  giovane,  donna, ingenuo...  se si  comporta  bene,  se ha  coraggio,  è  sincero  e generoso o  solo  fortunato,  sarà  alla fine premiato  e  sarà punito  l'antagonista  che  di  volta  in  volta   ha  rappresentato  il  male  e il male agire.

E in  quest'epoca  nasce  e si  affina  il  concetto  di  infanzia  come  età  specifica dell'esistenza  umana (Aries ) e le trascrizioni e le pubblicazioni  delle fiabe  che  prima  erano  destinate  a  tutte  le  età vengono sempre più  spesso  dedicate  ai  bambini  e  alle  bambine  con intenti  educativi, morali,  di intrattenimento.

Nello  stesso periodo, nei vari  paesi europei, con   impostazioni  e  riferimenti teorici differenti,  le  fiabe  diventano  oggetto di  studio  specifico  da  parte  di letterati antropologi,  studiosi  del  folklore e linguisti.

Dai  loro studi  e  dalla   comparazione  con le credenze  e pratiche  dei  popoli  primitivi  ancora  esistenti nel  mondo,  derivano le ipotesi  che  collegano le  fiabe   alle  grandi  narrazioni  mitiche  del  passato pre-storico  (Levi strauss, Freser, Cocchiara).

Con  Freud,  Jung  e  le  varie  scuole derivate  nasce  e si  intensifica  lo  studio della  relazione  fra contenuti  fiabeschi  e cotenuti psicologici, evidenziando  la  complessità  e  il valore delle informazioni che miti e fiabe continuano  a fornire sui  comportamenti  umani: dalle  analisi  di  Marie Louise von  Franz ( in particolare: Il  femminile  nella fiaba) fino  al Mondo Incantato di Bruno  Bettelheim,  alla  nostra  Cristina Campo  (Belinda  e il  mostro ,  Gli  imperdonabili),  alle più  attuali  e controverse riletture  in  chiave  femminista  delle fiabe.

Già  dai  primi anni  del '900,  in Unione Sovietica, V.J.Propp definisce, due  aspetti utili ancora oggi  per un approccio  corretto al  mondo  delle  fiabe:

   sono   fiabe  quelle narrazioni popolari che  intrecciano  mondi  reali  con  aspetti  magici  e fantastici e  presentano, pur in infinite  variazioni, alcune funzioni   (tappe, personaggi, snodi  narrativi ) sempre  presenti  e  necessarie  allo  svolgimento efficace della storia:   (vedi  Morfologia della fiaba)
   le  fiabe,  come  qualunque  prodotto  culturale,  rispecchiano  le  condizioni  materiali  del tempo (organizzazione produttiva, politica e  sociale)  e l'ambiente culturale  in  cui  nascono.   Pensiero che  può  sembrare  persino  banale,  ma  che  l'idealismo dell'epoca avversava. (Vedi Le  radici  storiche  dei racconti  di  fiabe).

In  Italia, ad  esempio,   durante  il  fascismo,  la  fiaba libertaria e  moderna   di  Pinocchio  viene usata a fini  propagandistici   e  Pinocchio  diventa  un piccolo balilla solerte.  Mentre   dopo la  guerra  la stessa  storia  di  Pinocchio sarà  reinterpretata  in  chiave  di  morale  cattolica  e  diffusa  a  libretti per la campagna  elettorale  di un  partito politico.

Più o  meno  negli  stessi  anni, però, Italo  Calvino,  compie  l'impresa meravigliosa,   intrecciando  rigore  di  studioso e  libertà  poetica: riunisce  e analizza   lo smisurato  corpus  delle fiabe tradizionali  delle regioni  italiane  (compresa  la Corsica), le suddivide  per  famiglie  e  gruppi  tematici, sceglie fra  le infinite  versioni  le  più  significative,  le sfronda e riscrive in una  lingua  nuova, allo stesso tempo  fedele  ai  dialetti ma attuale e  universale. 

Fece qualcosa di simile a quello che fecero i fratelli  Grimm.

Calvino  alla fine  della  stesura  de  Le  fiabe  italiane  confessa   che  mai  avrebbe  immaginato,  all'inizio  dell'impresa,   di poter  trovare  tanta  ricchezza e universalità  di temi,  complessità e mistero.  

"...non  solo  a  vendere e comprare  si  viene a Eufemia,  ma  anche perché la notte  accanto ai  fuochi,  tutto  intorno  al  mercato...ad ogni  parola che uno dice -come lupo, sorella, tesoro nascosto, battagli, scabbia, amanti- gli  altri raccontano ognuno  la sua   storia di lupi, di sorelle, di tesori, di scabbia,  di amanti, di battaglie. E tu sai che nel lungo  viaggio che ti  attende, quando al dondolio del cammello o della giunca ci si mette a ripensare ai tutti i propri ricordi, ad uno ad uno, il  tuo lupo sarà  diventato un altro lupo, tua sorella una  sorella  diversa, a tua  battaglia altre battaglie,  al  ritorno da Eufemia, la  città  in cui  ci  si  scambia la  memoria ad ogni  solstizio e ad ogni  equinozio."  I. Calvino, Le  città invisibili.

Accanto  a  Calvino e  più  o  meno  negli stessi  anni,  Gianni  Rodari  sarà in  Italia il più  geniale studioso e  innovatore della letteratura per l'infanzia, anche se spesso e a torto verrà  considerato  critico verso le  fiabe della  tradizione.   Al contrario, attraverso una  conoscenza vastissima  della  letteratura  tradizionale,  Rodari si ispira  e innova  le basi  profonde della narrazione fiabesca, provando a   interpretarle alla luce del  nuovo quadro politico, culturale, sociale e ambientale in  cui si  trovano a vivere i  bambini e  le  bambine  del  tuo  tempo. In un articolo del '70,  "Pro e contro la  fiaba", ad esempio, fa un'analisi  approfondita   della storia di Pollicino e  indica la  fiaba in  generale   come "deposito  stratificato  di  più  culture,  un  archivio  in cui  il  tempo  ha  depositato le  sue  pratiche,  evase  in  spazi  lontanissimi  tra  di  loro...".

Già  dagli  anni  Cinquanta,  ben  prima  delle  rivendicazioni  del '68   e  del nuovo movimento femminista,  Rodari  centra  il  suo  lavoro  di  giornalista  e  scrittore per  bambini  sui valori  democratici che  si  andavano  affermando, sull'universalità  dei  diritti  e  in particolare sulla necessità  di  cambiare radicalmente la  posizione  della donna  nella  famiglia  e nella  società  e  considera l'incontro  dell'infanzia con  la  fiaba  un'esperienza assai complessa e  preziosa: "La  fiaba è  pronta per darci  una  mano ad immaginare il futuro che  altri vorrebbero semplicemente  farci  subire".

Intanto, al di là  dell' oceano,  prima, durante e dopo  la seconda guerra mondiale, Walt Disney, mentre   inventa  e cresce  personaggi  destinati  all'immortalità  come  Topolino, Paperino   e soci,  sceglie per i  suoi  lungometraggi di animazione alcune  fiabe  della  tradizione  europea  (Biancaneve, Pinocchio,  Cenerentola, Peter Pan,  Alice.....) e  con  il pragmatismo  americano  che lo caratterizza, le  rielabora,  le  modifica, dona loro immagini  di indimenticabile bellezza  e poesia, ma inevitabilmente  le rilegge  attraverso le lenti  della borghesia  bianca, classista, maschilista e moralista  americana del suo tempo. I film  traboccano  di buoni  sentimenti e anche di  buon umore e ironia,  ma  sui  ruoli  delle  ragazze  e  dei ragazzi  non  sembrano  esservi  dubbi,  fino  al punto  di "forzare"  in  senso  maschilista aspetti nodali delle fiabe  già sufficientemente caratterizzate. (Vedi  J.Zipes)

Così  si va  avanti,  ma  fino  ad  un certo punto, perché  le  idee  nuove  nate  dal  '68  e  soprattutto  dal  nuovo femminismo  non  si  possono  ignorare se  si  vuole  stare  al  passo  con  i tempi: se la   Sirenetta resta  ancora in  sospeso fra  le  due  visioni  del mondo, molti dei successivi  film  della  Disney  e associati (Mulan, Pocahontas, Belle, Rapunzel, Frozen,  La  principessa e il ranocchio)   cominciano  a  descrivere,  a volte attraverso nuovi stereotipi,  ragazze sveglie,  attive,  emancipate  e  ben intenzionate  a  tenere  nelle  mani  la  loro  vita...  Però, attenzione, restano  sempre tutte  bellissime;   e  qui  sarebbe  utile   un raffronto  con altre   eroine più "normali",  per  esempio le  ragazzine   dei  film   del grandissimo giapponese Miyazaki: una per tutte   la  protagonista  de il Castello  errante... ridotta   da un  sortilegio  e per  tutta  la  durata  della  storia  a  vecchina  assai poco avvenente.

Inoltre, in parallelo ai film  con  eroine  "positive", la  Disney e le  varie  derivazioni  societarie collegate, sfornano altrettanti film dedicati  ai "maschietti"  tipo Toy story, Cars ... praticando  apparentemente  una sorta di specializzazione  per  genere  che bambini  e bambine colgono  perfettamente  e  che  lascia  perplessi.

In questa veloce biografia  della  fiaba non si è potuto dare  spazio  alla storia  delle  illustrazioni dei libri di fiabe  e ai relativi illustratori e illustratrici che  rappresentano,   accanto  ai contenuti testuali,  uno sterminato  mondo a sé, colmo delle  evoluzioni, involuzioni e intuizioni geniali di chi si è  rivolto e si rivolge  ai  bambini raccontando  le  fiabe attraverso  le immagini.

Dice  Walter  Benjamin,  parlando delle  illustrazioni  nei  libri   per  i  più  piccoli,  "...infatti, non sono  tanto le  cose  a farsi  incontro  -fuoriuscendo  dalle pagine- al  bambino  fantasticamente alle prese  con le immagini,  ma  è  piuttosto  il  bambino  stesso  che  -guardando-  penetra in  esse...di  fronte  al suo  libro  illustrato  egli realizza la tecnica del  perfetto taoista:  domina  l'illusoria  superficie e   ...calca  la  scena  dove  vive  la  fiaba."

Questo  mondo  delle  immagini  di adulti che hanno  illustrato le  fiabe  -molte  volte  in maniera  fantastica-  andrebbe   considerato attentamente, magari assieme agli stessi   bambini, soprattutto  per quanto riguarda  gli  stereotipi in  generale  ed a  quelli di  genere in particolare: si  pensi,  per  fare  solo  un  esempio,  che il  principe  delle  fiabe  -ma  anche il compagno  ideale  nella  vita di  una  ragazza-  viene chiamato  "principe azzurro",  dal  colore  del  mantello  con  cui è  stato  (quasi) sempre rappresentato.

Si  è  dato, invece,   spazio  al racconto  delle produzioni  Disney e  in  generale  alle  trasposizioni  delle fiabe  in cinema di animazione (si pensi alla smisurata produzione  nipponica, ben nota anche in Europa:  da Lady Oscar ad Heidi ai  Pokemon e Naruto .. ): per  la  loro  straordinaria potenza ed efficacia  comunicativa e  per  la  diffusione globalizzata,  sono  queste le icone   che -dagli  anni  50 in  poi- costituiscono l'immaginario  fiabesco condiviso  dalla maggior parte  dei  bambini  e  delle  bambine  in Italia  e nel mondo.

Negli ultimi  cinquant'anni,  con il diffondersi  di riferimenti  culturali  e  valoriali  nuovi,  nelle famiglie  e nelle scuole, le fiabe  della tradizione  sono  cadute  in disgrazia, magari  dopo  giudizi sommari  non  molto  approfonditi, e spesso  sono state messe da parte proprio a causa dei messaggi  reazionari  e  stereotipati di cui si erano appesantite nel  tempo.

Nel frattempo sono nate  ovunque nuove  narrazioni fiabesche,  più  attente  agli aspetti  sociali,  ai  diritti universali  e  alla parità di genere: narrazioni a volte molto efficaci, spesso però gravate da nuove forme di  conformismo e  noiosa  prevedibilità.

In realtà le vecchie fiabe sono state conservate, ma "a lato", riservate a  fasce sempre  più  precoci di età, nelle prime versioni, nei "cartoni animati" o in versioni attualizzate, quasi  che  nessuno se la sia sentita di  privare  completamente   i  piccoli  dei cappuccetti rossi, dei lupi, dei porcellini, delle principesse, degli  orchi e delle fate, insomma, di buttare  via tutto il ciarpame assieme ai contenuti  preziosi  e  segreti.

I nuovi e  nuovissimi  media, inoltre, stanno  rendendo residuale  la  pratica  della  narrazione  dal  vivo da  parte di  adulti, familiari, educatori  e narratori  teatrali mentre  le  versioni originali delle fiabe, con le loro  buone ragioni e caratteristiche peculiari, rischiano di restare relegate in libri, immagini e ambiti specialistici, accessibili solo ad un esiguo numero di adulti.  

Da questo  scenario non  facile, che  piaccia  o  meno,  occorre partire, se  si vuole seriamente dialogare con bambine e bambini, con ragazze e  ragazzi  di  oggi su  fiabe  e  immagini fiabesche,  sui  messaggi  deleteri in esse contenuti  e su  quelli  utili  ancora  oggi, usando  pazienza da investigatori, conoscenze  precise e  adeguati strumenti di lettura per entrare ben attrezzati in questa misteriosa  foresta  fatata.

La biografia

Il rapporto sensibile con la storia diversa di ogni persona diventa strumento di comprensione della realtà e di accesso alla complessità del mondo

È possibile comprendere e interagire con o sui fenomeni di discriminazione senza considerare ciò che di questa discriminazione abbiamo direttamente agito o subito nelle nostre storie di vita? Questo l’interrogativo che ha orientato il dialogo con gli insegnanti nella fase preliminare del lavoro. Le fiabe, come luogo di possibile riconoscimento esplicito, implicito o simbolico sono così diventate un contesto particolarmente suggestivo per esplorare e riconoscere tratti della propria storia biografica e della propria narrazione, aiutati dalla sensibilità della dimensione metaforica.

Sin dalle prime fasi del progetto abbiamo ritenuto indispensabile affrontare le questioni relative alla discriminazione di genere come qualcosa che fosse strettamente connesso con la biografia di ogni persona ma anche con una biografia di carattere collettivo.

In questa prospettiva, oltre a considerare come la relazione tra gli argomenti trattati e la propria esperienza individuale corrispondesse ad una possibilità di “comprensione” più estesa e significativa, ci è risultato chiaro che, nel rapporto con i bambini e le bambine, le possibili proposte dirette o indirette sui temi trattati dovessero sempre considerare sensibilmente e implicitamente le loro particolari e uniche storia di vita.  In altre parole, non ci è apparso possibile proporre una logica di ciò che può essere “giusto o sbagliato” se non nella adattabilità che un qualsiasi messaggio condiviso poteva acquisire in relazione ai contesti biografici e di provenienza dei bambini con i quali certamente non avremmo potuto interagire in forma diretta.

Ancora una volta la dimensione metaforica ci ha consentito di sviluppare sensibilmente contesti “terzi” che proponevano una potenzialità educativa che poteva essere vissuta e condivisa da bambine e bambini nella misura in cui il proprio contesto biografico-sociale-culturale lo rendeva possibile.

Abbiamo assunto la dimensione biografica come presupposto essenziale e garanzia per consentire ai bambini e alle bambine di partecipare attivamente nella costruzione dell’esperienza. In forma speculare, il presupposto biografico ci ha aiutato a favorire un coinvolgimento degli adulti (operatori e insegnanti) capace di trascendere un’intenzione semplicemente didattica per entrare in una dimensione interlocutoria, interrogativa, auto-educativa e circolare che ci è sembrata essenziale per instaurare una sincera e proficua relazione con persone di età tra i 5 e i 7 anni.

Gli stereotipi

I pregiudizi manifestano relazioni di potere e subalternità ma si costituiscono come oggetti e materiali particolarmente significativi dell’azione pedagogica

Se da un lato possiamo considerare l’utilizzo degli stereotipi come una dimensione costante del nostro modo di pensare che necessariamente utilizza categorie precostituite non necessariamente fondate, il problema pedagogico che ci siamo posti è stato quello di considerare quali possano essere i meccanismi attraverso i quali si possa rendere possibile una flessibilità e un’apertura del nostro giudizio o pregiudizio nei confronti della realtà circostante. La scelta è stata dunque quella di non “demonizzare” lo stereotipo ma semmai di capirne la natura così da depotenziarne la rigidità e l’inadeguatezza con particolare attenzione agli stereotipi di genere.

Abbiamo dunque considerato lo stereotipo come una narrazione collettiva in stretta relazione con dinamiche culturali spesso tese a consolidare rapporti di potere e di subalternità. In questa prospettiva lo stereotipo non può che essere determinato da condizioni e fatti reali che attraverso di esso tendono a consolidarsi nel pensiero comune e a ribadire e, nel contempo a rinforzare  le stesse condizioni che lo hanno determinato.

Nel ragionamento realizzato per predisporre il paradigma pedagogico di riferimento abbiamo constatato come, nel caso della discriminazione di genere, gli stereotipi presentati nelle fiabe corrispondessero storicamente a condizioni fattuali nella relazione tra i sessi e di come molte di queste condizioni insieme agli stereotipi che le descrivono fossero tuttora presenti nel contesto contemporaneo. Se nella fiaba di Biancaneve la ragazza è limitata da lavori di carattere domestico è evidente come questa circostanza costringa e limiti le opportunità di molte donne anche nella realtà di oggi. Questa constatazione induce a considerare lo stereotipo non come narrazione fittizia ma come dispositivo narrativo strutturale e radicato che determina i rapporti di potere tra i generi.

Abbiamo poi considerato come fosse importante non opporre allo stereotipo un’altra verità precostituita ma invece come fosse opportuno, dal punto di vista educativo, tentare una possibile destrutturazione del pensiero pregiudizievole attraverso un’esperienza capace di depotenziarne la narrazione aprendo le maglie ad altre possibilità.

Va anche sottolineato come nelle fiabe classiche, a differenza delle versioni più diffuse e conosciute nell’infanzia, riprodotte e interpretate con fini più commerciali, gli stereotipi vengano applicati certamente ma non esauriscano la vasta gamma di potenzialità e facoltà attribuibili a un sesso o all’altro nell’ambito delle diverse narrazioni. Troviamo infatti nelle narrazioni popolari personaggi maschili e/o femminili che manifestano diversi tipi di capacità non necessariamente attribuiti al genere di appartenenza. Basti pensare alla capacità risolutiva di Gretel, sorella di Hansel, nella fiaba che li vede protagonisti.

Nella complessità di fattori proposti dalle fiabe ci è sembrato importante dunque non concentrarsi tanto sui più evidenti stereotipi proposti all’interno della narrazione ma, semmai, sulle condizioni che rendono possibile il loro superamento; per esempio, in Biancaneve le sue possibilità nel realizzare non necessariamente le azioni attribuibili ai personaggi maschili della fiaba, ma iniziative che potessero espandere la gamma delle sue opportunità, nella considerazione che ogni individuo, maschio o femmina che sia, può esprimere la sua identità individuale nel momento in cui incontra le opportunità occasioni che consentono tale libertà.

Il tentativo, dal punto di vista pedagogico, è stato quello di uscire, aiutati dalla dimensione metaforica, dalla rigida opposizione binaria maschio-femmina, insieme a tutto il portato di ruoli e funzioni attribuibili all’uno o all’altra, per accedere invece ad una categoria di individuo sempre capace di liberarsi o di essere liberato dallo stereotipo che ne condiziona l’esistenza.

I Diritti Umani

Il corpus dei diritti si costituisce come “logica” educativa multidisciplinare da condividere con i bambini e con gli adulti.

La dimensione di riferimento che abbiamo voluto adottare per affrontare la discriminazione di genere e le pari opportunità in una logica pedagogica è senz’altro quella del diritto. Abbiamo cioè considerato che il dettato normativo nazionale e internazionale potesse legittimamente costituire il riferimento di base per sviluppare solidamente il percorso pedagogico da proporre a bambini e insegnanti.

Per emancipare le argomentazioni relative ai temi trattati da una prospettiva “relativistica”, il riconoscimento della piena opportunità di poter esprimere la propria identità senza vincoli imposti da costrutti culturali e sociali ha visto il suo punto di partenza proprio nei principi e nelle norme derivanti dal corpus dei diritti umani, inteso come capitale culturale dell’umanità e quindi riferimento fondante per qualsiasi analisi e proposta tesa a garantire la dignità e l’ opportunità di ogni persona.

Si sono assunti i riferimenti normativi come sintesi e piattaforma per articolare una prospettiva multidisciplinare capace di tradursi in paradigma educativo. In questo senso, pur attraverso l’utilizzo del linguaggio metaforico per entrare in relazione con i bambini, l’intenzione è stata quella di affrontare la difficile emancipazione da una logica esclusivamente fondata sul riconoscimento dei bisogni alla loro connessione e interconnessione con i diritti corrispondenti, considerando le possibilità della persona come la risultante tra le prerogative riconosciute dai diritti umani e la necessità dei contesti di rendersi funzionali all’esercizio degli stessi.

Gli specifici trattati e convenzioni che declinano i principi generali della dichiarazione dei diritti dell’uomo in relazione alle questioni di genere, a partire dalla Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW), insieme ad un approccio radicato nella Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (CRC) hanno consentito di individuare l’orizzonte valoriale della proposta attraverso traiettorie che ci siamo sentiti di poter assumere e tradurre, talvolta anche in modo esplicito, nell’esperienza con i bambini e con gli insegnanti.

Il racconto/metafora dell’”Isola delle Scimmie”, che sarà presentato in seguito, ci ha consentito di rappresentare a misura di bambino, e sensibilmente rispetto all’universo delle fiabe che andavamo ad esplorare, un mondo utopico teso a dimostrare una cultura fondata sul diritto, intesa come base della relazione tra gli individui sempre attenta a garantire le possibilità di espressione del singolo e della sua storia.

Gli indicatori EIGE, i “fattori determinanti”

La discriminazione di genere e la mancanza di pari opportunità si manifesta in modo chiaro e strutturale in tutti gli aspetti del nostro modo contemporaneo

In tema di discriminazione di genere e pari opportunità abbiamo ritenuto di estrema importanza collegare gli argomenti trattati ad una realtà di fatto ancora molto distante dal riconoscimento pieno del diritto. Pur affrontando il tema attraverso metafore e fiabe, non sarebbe stato possibile sviluppare un paradigma pedagogico senza considerare i fatti che globalmente, nel mondo, dimostrano ancora una disparità di garanzia e trattamento legato al genere.

In questa prospettiva, come già anticipato, ci è sembrato particolarmente utile nella sintesi dell’approccio utilizzare gli indicatori dell’indice EIGE che possono sostenere un’analisi fattuale complessa, utile per la formazione degli insegnanti, ma che nello stesso tempo potessero essere tradotti in ambiti e concetti condivisibili con i bambini, e utili nell’analisi congiunta delle narrazioni. Abbiamo così proposto una serie di “fattori determinanti” speculari rispetto agli indicatori di base EIGE, per affrontare con bambine e bambini tutte quelle dimensioni che rivelano gli elementi strutturali della discriminazione di genere.

Il lavoro, i soldi (che nel lavoro condotto  abbiamo chiamato  risorse), la conoscenza, il tempo, il potere, la salute unitamente al parametro aggiuntivo e trasversale della violenza/protezione sono dunque diventati le categorie attraversate per dare un fondamento alla proposta pedagogica e a un approccio agli stereotipi, che il quale non può che realizzarsi attraverso il riconoscimento di ciò che li ha determinati e che continua a determinarli.

L’utilizzo di questi “fattori determinanti” ha consentito di poter affrontare senza forzature, con i bambini, dei discorsi “in chiaro” che assumevano particolare significato proprio perché accompagnati dalle metafore fiabesche. Allo stesso tempo, l’utilizzo degli indicatori EIGE ha favorito la possibilità di sintesi degli argomenti trattati proponendo un’ulteriore mappa di orientamento dei complessi temi esplorati.

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1. Calvino I., Fiabe italiane – Raccolta dalla tradizione popolare durante gli ultimi cento anni e trascritte in lingua dai vari dialetti, Mondadori
2. Korzybski A. (1994), Science and sanity: an introduction to non-Aristotelian systems and general semantics (Scienza e sanità mentale: un'introduzione ai sistemi non aristotelici e alla semantica generale)

 

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Questo progetto è finanziato dal Programma Diritti, Uguaglianza e Cittadinanza dell'Unione Europea (2014-2020)